Le dirò con due parole...
a cura di Marco Targa
Salome tra decadentismo e classicità
di Giangiorgio Satragni
Salomé o la tragedia impossibile
di Guido Davico Bonino
Un ritratto
di Alberto Bosco
Il fascino dirompente di Salome.
Intervista a Gianandrea Noseda
a cura di Susanna Franchi
Il debutto operistico italiano di Strauss al Teatro Regio
di Giorgio Rampone
Argomento - Argument - Synopsis - Handlung
Struttura dell’opera e organico strumentale
a cura di Enrico M. Ferrando
Le prime rappresentazioni e l’opera a Torino
Libretto
Le dirò con due parole...
a cura di Marco Targa
Una ragazza, poco più che bambina, bacia voluttuosamente sulla bocca la testa mozzata e ancora sanguinante di Giovanni Battista. È la ricompensa chiesta al tetrarca Erode per aver danzato per lui la sensuale Danza dei sette veli. Una legge non scritta del teatro impone che quando l’abominio viene rappresentato sulle tavole del palcoscenico, esso debba essere controbilanciato dal suo castigo: lo scandalo deve trasformarsi in monito morale. Né a Oscar Wilde, autore del dramma intitolato Salomé, né a Richard Strauss, che quel dramma tradurrà in opera, interessa però dare lezioni morali (l’art pour l’art) e, nonostante alla fine dell’opera la colpevole sia calpestata sotto gli scudi dei soldati, questo non è sufficiente per cancellare l’immagine disturbante di quel bacio necrofilo e blasfemo. Tanto più che il bacio è preceduto da un lungo monologo della protagonista, che contiene un canto d’amore perverso e affascinante allo stesso tempo: «Perché non mi hai guardato? Se tu mi avessi guardato, mi avresti amata, lo so, mi avresti amata. E il mistero dell’amore è più grande del mistero della morte...»...
Salome tra decadentismo e classicità
di Giangiorgio Satragni
Poco più di centodieci anni sono trascorsi da quando Salome giunse sulle scene dei teatri musicali: da quella sera di Dresda del 9 dicembre 1905 molta acqua è passata sotto i ponti, anche a temperare gli animi e a consentire alla storiografia di volgersi con maggior distacco alla formidabile riapparizione sonora della perversa adolescente di Wilde, un successo clamoroso e uno scandalo perfetto: la fortuna di Richard Strauss. Il quale Strauss non ebbe certo scarsa ironia, almeno stando al proprio celebre racconto del 1942, nell’affrontare a distanza le riserve di chi l’aveva al proprio servizio in altra mansione, il Kaiser Guglielmo II di Prussia, visto che all’epoca di Salome il compositore e direttore d’orchestra era Primo Kapellmeister reale all’Opera di Corte di Berlino:
Guglielmo II disse una volta al suo sovrintendente: «Mi dispiace che Strauss abbia composto questa Salome, lui peraltro mi piace molto, ma così si farà un danno terribile». Con questo danno potei costruirmi la villa di Garmisch!1
Danni da parte regale non ne ebbe, visto che nel 1908 passò di grado divenendo Generalmusikdirektor nel medesimo teatro...
Salomé o la tragedia impossibile
di Guido Davico Bonino
Una fanciulla nata in un caffè
Un Oscar Wilde ventinovenne aveva fatto il suo primo lungo soggiorno a Parigi tra il febbraio e l’aprile del 1883, al termine di una lunga ed eccitante tournée negli Stati Uniti durata un anno. I popolari Gilbert e Sullivan avevano scritto un’operetta, Patience, in cui facevano la parodia dell’estetismo inglese: un personaggio, Reginal Boulthorne, era chiaramente Wilde, con un girasole (o un papavero o un giglio) nella sua «manina medievale». L’impresario della tournée americana dell’operetta, Richard D’Oyly Carte, aveva invitato Wilde a presentarla lui stesso negli Stati Uniti: Wilde aveva accettato con entusiasmo, pronunciando 140 conferenze in 260 giorni in tutti (o quasi) gli States, oltre a due puntate in Canada. Nel Colorado i minatori, colpiti dal suo metro e novanta di statura, si erano sentiti elargire il complimento di «uomini meglio vestiti d’America». Nel Kentucky una nipote di Keats gli aveva donato un manoscritto di un sonetto del grande lirico romantico. Walt Whitman e Louisa May Alcott, la popolare autrice di Piccole donne, lo avevano ricevuto con favore. Ma, soprattutto, una celebre primattrice, Mary Anderson, gli aveva commissionato una tragedia in versi, versandogli un cospicuo anticipo, 1000 dollari...
Un ritratto
di Alberto Bosco
In un suo libro Ansermet riferisce un aneddoto su Richard Strauss raccontatogli da Furtwängler, il quale, vivendo nell’ultimo dopoguerra in Svizzera e saputo che l’ottuagenario compositore si trovava a Baden per delle cure, si era affrettato a fargli visita. Stupito di vedere il vecchio maestro così sereno, si sentì rispondere: «Sapevo da lungo tempo che questo regime e questa guerra avrebbero distrutto la Germania; ma la Germania aveva come missione su questa terra quella di rivelare agli uomini la musica, e dopo Wagner, questa missione era compiuta». Al che Furtwängler obbiettò: «Ma come! E lei...?», «Oh! Io non sono che un epigono» concluse Strauss. Non c’è confessione più eloquente per iniziare a tracciare la personalità di uno dei massimi protagonisti del cosiddetto decadentismo, cioè di quel momento storico che in musica ha visto il superamento della grande stagione classico-romantica a seguito della crisi, o quanto meno del ridimensionamento, di quei valori e ideali che avevano sorretto le coscienze europee negli ultimi due secoli e che erano arrivati a fine Ottocento a una resa dei conti...
Il fascino dirompente di Salome.
Intervista a Gianandrea Noseda
di Susanna Franchi
Gianandrea Noseda torna a Salome che aveva diretto al Regio nel 2008.
Ci troviamo di fronte a un’opera rivoluzionaria?
Sì, è un’opera di grande frattura, in cui tutto è estremo: il tentativo di santità di Giovanni Battista, l’inquietante desiderio di Salome. In Salome tutto è morbosamente seducente, senti subito una forte tensione orchestrale: è una musica che non ti aspetti.
«Dio mio, che musica nervosa! È proprio come se tanti scarafaggi ti scorrazzassero nei pantaloni» disse il padre di Strauss quando il figlio gli fece ascoltare alcune pagine di «Salome» al pianoforte; mentre Cosima Wagner, dopo averne ascoltato la scena finale al piano, disse: «Questa è pura pazzia». Dopo la prima a Dresda un critico concluse la sua recensione scrivendo: «L’inizio dell’opera è simbolico: “Com’è bella la principessa Salome stanotte!”. Sì, oggi! Ma chiediamocelo ancora fra tre anni». Sono passati più di 112 anni da quella prima e possiamo dire che la Principessa è sempre bella?
Questo personaggio non ha perso nulla del suo meraviglioso fascino, anzi, ci dimostra ancora una volta come Strauss, con opere come Salome ed Elektra, guardasse avanti, al futuro. Salome ci dimostra già la direzione che voleva prendere. Oggi, nel 2018, quest’opera non ha perso nulla del suo fascino seducente. Certo, possiamo dire che per noi non ha più quella mostruosità emotiva che percepivano gli spettatori ai primi del Novecento, noi sappiamo già cosa aspettarci. Ma il suo effetto è ancora dirompente: ti invade con quell’erotismo selvaggio, quella sensualità, quel disagio esistenziale...
Il debutto operistico italiano di Strauss al Teatro Regio
di Giorgio Rampone
Torino, 20 dicembre 1906. Alla stazione di Porta Nuova, dal treno proveniente da Milano, scende rapido un signore nel cui bagaglio si cela un insolito abito femminile. Uno stravagante dono natalizio per la moglie o l’amica? No. Quello che custodiva con cura il pinerolese Luigi Sapelli, a tutti noto come Caramba, non era altro che l’ultimo tocco mancante all’avvenimento musicale dell’anno, l’ambita presentazione all’Italia di Salome di Richard Strauss che il Teatro Regio si era conquistata. Sia pure in extremis Gemma Bellincioni riceveva così il suo costume, scaturito dalla straordinaria fantasia creativa del maggior figurinista del tempo, che però non sarebbe stato visto fino alla prima.
Infatti, proprio quel giorno, la prova generale, per la quale Giuseppe Sturani1, coscienzioso preparatore dell’orchestra, passò la bacchetta all’Autore, si svolse, curiosamente, senza la protagonista. «Canterò io per la signora Bellincioni», avrebbe detto Strauss all’allibito Temistocle Pozzali, impresario del teatro. È la cantante stessa a raccontarlo, specificando che l’esonero le fu accordato dal compositore per consentirle di riposarsi convenientemente:
Distesa nel mio letto, mi fecero trangugiare quasi una bottiglia di vecchio vino di Oporto, ch’ebbe la virtù, meglio di un sonnifero, di farmi dormire per ventiquattro ore di seguito! Il giorno della première ero calma e riposata. Andai in teatro convinta del successo, e tale fu, entusiastico, unanime per l’ammirabile e suggestiva opera di Strauss, come per l’interprete2...
Argomento - Argument - Synopsis - Handlung
Struttura dell’opera e organico strumentale
a cura di Enrico M. Ferrando
Salome si colloca tra il dramma post-wagneriano e il teatro musicale espressionista: dal punto di vista della struttura è un “dramma in musica”, perciò non consiste in una successione di numeri musicali autonomi – come avviene per le opere italiane e francesi dell’Ottocento. L’ideale continuità della musica è sottolineata dal taglio in un unico atto e dall’assenza di una pagina sinfonica introduttiva, che proietta il pubblico direttamente nel vivo dell’azione. Da questo punto di vista è significativa la scelta di mettere in musica non un libretto in senso tradizionale, bensì un’opera letteraria, assumendola in modo più o meno integrale, e dunque adattando completamente la musica al testo preesistente...